Valentina

Da volontaria "quasi per caso" a volontaria "per passione"

17/10/2010

Tutto ebbe inizio quasi per caso, partecipando ad una riunione del Centro di servizi per il Volontariato in provincia di Treviso. In quell’occasione si parlò principalmente di normative e proposte di modifica alla legge n. 266/1991; essendo laureata in giurisprudenza, la mia presenza era giustificata dall’argomento trattato. Ma mi resi conto che, soprattutto in questo campo, non si poteva parlare di algide leggi, senza prendere in considerazione il risvolto umano. Così, tornata a casa, feci una ricerca su internet e scoprii una moltitudine di associazioni presenti nel nostro territorio. Finché capitai per caso nel sito dell’Associazione NATs per... Ero completamente digiuna dal mondo dei “pequeňos trabajadores” tanto che mi documentai e scoprii una realtà che, pur presente in molti paesi, non è poi così conosciuta. A quel punto la contattai e scoprii che un gruppo di persone che viene ogni martedì nel pub dove lavoro due volte la settimana ne costituiva il direttivo! Ne approfittai per sapere cosa fanno, dove operano e che iniziative promuovono. Mi dissero che, con la dovuta preparazione, avrei potuto fare un’esperienza in una delle Fondazioni che seguono in America Latina. A questo punto valutai la possibilità; giocava a mio favore la mia buona conoscenza dello spagnolo e pure il mio titolo di mediatore familiare. Mi proposi e così iniziò la mia avventura.

Riuscii a prendermi un mese di ferie e partii per Bogotà il 6 agosto. Ero “destinata” alla “Fundación del Pequeňo Trabajador” nel quartiere di Patio Bonito. La prima notte dormii a casa di Estella, una ragazza che lavora nell’area politica della Fondazione e che vive in un’altra zona della capitale. L’indomani, raggiungendo il quartiere, il figlio di Estella, Martin, chiese al tassista:”Ma perché si chiama Patio Bonito se non ha nulla di bello???”. Beh … inizialmente la sua affermazione mi fece sorridere, ma vivendo in quella zona povera e problematica, scoprii che ci sono molte cose buone a Patio Bonito.

A distanza di un mese dal rientro in patria, se chiudo gli occhi e mi concentro, avverto ancora i rumori, gli odori di quella terra in cui la maggior parte delle strade sono ancora sterrate, i bambini giocano ancora con la corda, la frutta sa di frutta e la verdura sa di verdura! Oltre a questo però c’è purtroppo anche la fame, la disperazione, la delinquenza e il lavoro minorile. Soprattutto su questo ultimo punto lavorano e si impegnano da 24 anni i docenti e i responsabili delle diverse aree del “Pequeňo Trabajador”.

Quando entrai per la prima volta nella sede della Fondazione, l’impressione che ebbi fu di un luogo protetto in cui i bambini possono esprimere se stessi attraverso la relazione con i compagni e la lettura critica del contesto in cui vivono, metodo di insegnamento adottato dal PT. I bambini appartenenti a questo tipo di realtà sono abituati ad utilizzare, come modo di espressione e di porsi, il conflitto. Urlano i loro bisogni e le proprie emozioni, dal momento che probabilmente, non conoscono altri modi di comunicazione efficaci. In questa Fondazione si cerca di dare un’accezione positiva del conflitto, ossia promuovendo l’evoluzione e la trasformazione delle relazioni attraverso la comprensione, l’ascolto, il dialogo e il rispetto. Il coinvolgimento intellettuale e morale dei rappresentanti delle varie aree della Fondazione è molto intenso. Ciò dettato dal fatto che la maggior parte dei giovani coordinatori sono stati a loro volta dei NATS. Per cui svolgono il loro compito con una profonda dedizione.

Mi accolsero immediatamente a braccia aperte e coinvolta nella loro vita come se fossi un’abitante di Patio Bonito. Per entrare nel vivo della mia esperienza, iniziai col conoscere le diverse aree del “PT”: politica, pedagogica, produttiva e umana. Io collaborai principalmente con quest’ultima in veste di mediatore familiare e scolastico.

Inizialmente improntai un lavoro con la coordinatrice dell’area pedagogica che aveva come obiettivo di mediare il conflitto sorto tra cinque adolescenti della Fondazione. Purtroppo un mese costituisce un tempo insufficiente per poter svolgere un lavoro del genere, ma almeno riuscii ad organizzarlo. Nel caso specifico era necessario risolvere la lite all’interno della scuola per evitare un conflitto che si sarebbe esteso a macchia d’olio tra le famiglie. Così fissai alcuni incontri con queste cinque ragazzine, in presenza delle coordinatrice dell’area pedagogica e con l’autorizzazione dei genitori. Furono solo tre, ma riuscimmo a far riflettere le ragazzine sul significato del conflitto, sull’idea di famiglia di ognuna e sulla possibilità di risolvere le controversie con metodologie alternative alla violenza. Mi sarebbe piaciuto molto poter dedicare più tempo a queste allieve, anche per approfondire altri temi che magari gli avrebbero permesso di entrare in un’ottica di conflitto totalmente diversa.

Un altro momento che mi colpì molto furono le visite domiciliari con Albeiro, studente universitario ed ex allievo del PT, in una zona di Patio Bonito chiamata “Invasión”: luogo di baracche in cui vivono intere famiglie di desplazados e di poveri che si sostentano con il riciclaggio di materiale che trovano per strada. Purtroppo è una zona molto pericolosa a causa di un’alta percentuale di criminalità. Per prima incontrai la madre di un ragazzino, il quale non si presentava a scuola da qualche giorno. Visto l’impossibilità di comunicare via telefono con queste persone, la Fondazione ha predisposto delle visite domiciliari settimanali alle famiglie più bisognose e a quelle degli allievi che presentano alcune problematicità. Mi colpì molto la disperazione di questa madre che era convinta che il figlio fosse a scuola; la sua dignità nell’esprimere il suo dolore e l’intenzione di rendersi utile per recuperare il figlio. Fortunatamente, nei giorni seguenti, Albeiro riuscì a venire a capo della situazione.

Continuando l’elenco di incontri ed esperienze coinvolgenti, ci fu l’incontro settimanale con “las guerreras”, gruppo di ragazze madri giovanissime animate dal desiderio di garantire una vita più comoda ai loro figli, attraverso la continuazione degli studi e la ricerca di un lavoro. Mi dettero veramente tanto, sia a livello umano che a livello professionale.

Potrei andare avanti fino a scrivere un romanzo, ma toglierei a chi mi legge la curiosità di conoscere un luogo che ha tutto il diritto di chiamarsi “Patio Bonito”. Ripeto: fui accolta da tutti con un calore che si percepisce a pelle. Andrea e Roso, la coppia che mi ospitò per un mese, mi permise di condividere la loro vita, le loro abitudini, la loro routine, il loro cibo e le loro amicizie.

In un mese di permanenza, arrivai a Bogotà sentendomi “volontaria per caso”, ma rientrai in Italia rendendomi conto di essere una “volontaria per passione”!

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